I luoghi

I luoghi di San Pio

Un viaggio spirituale attraverso Pietrelcina e i luoghi cari a Padre Pio

Pietrelcina

Ancora oggi non è raro sentire dalla bocca dei “Pucinari”, specie degli anziani, Pretapucina, come diceva sempre zi’ Grazio Maria…

Convento e Chiesa Sacra Famiglia

“Sacra Famiglia” è il titolo della chiesa dei Cappuccini, scelto dallo stesso P. Pio…

Parrocchia
Santa Maria degli Angeli
Santuario Diocesano di San Pio

L’attuale chiesa parrocchiale anticamente si chiamava «Santissima Nunziata»…

Rione Castello
Case di Padre Pio

Case secolari, costruite con calce magra e pietra dura e greggia…

Chiesa di Sant'Anna

Il disastroso terremoto del 5 giugno 1688 assieme al palazzo baronale distrusse anche…

Piana Romana

Alla borgatella di Piana Romana si arriva per due strade…
Padre Pio
Frase del giorno di Padre Pio:
"Con i buoni propositi vadano le sante operazioni."
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Il paese

Ancora oggi non è raro sentire dalla bocca dei “Pucinari”, specie degli anziani, Pretapucina, come diceva sempre zi’ Grazio Maria, genitore di Padre Pio, il quale preferiva questa dizione, avvalorandola con la tradizione orale che sostiene l’esistenza di una pietra con sopra abbozzata dallo scalpello una chioccia con i pulcini, scoperta durante gli scavi delle fondamenta della chiesetta baronale.

Il nome ufficiale odierno è Pietrelcina, originata da un castello, edificato sopra “duri e grossi macigni”, circondato da mura nella parte superiore, con due porte, l’una a settentrione e l’altra a mezzogiorno; “un grosso sasso inaccessibile”, ad oriente con un “esteso e magnifico palazzo”, di cui oggi si scorge soltanto qualche rudere, perché raso al suolo dal terremoto del 1688, assieme alla chiesetta dentro il castello, dedicata a sant’Angelo, cioè san Michele.

L’esistenza dell’antica chiesetta di sant’Angelo fa supporre che Pietrelcina risalga al periodo longobardo-normanno, perché era proprio di questi popoli costruire nei loro castelli chiese o cappelle in onore di San Michele, l’Angelo per antonomasia, da essi venerato come loro speciale Patrono.

È notizia certa che il paese esisteva già nel 1100 e il Castrum (fortezza abitata da militari e civili) dei bassi tempi a mano a mano si allargava, usciva fuori le mura sino ad arrivare nei dintorni dell’attuale chiesa madre, e poi oltre, ed al ponticello del torrente Pantaniello.

Come molti castelli del Meridione, anche quello di Pietrelcina spesso era esposto alla vendita e passava da un feudatario all’altro.

Attraverso i secoli si nota un’altalena demografica, causata da terremoti, guerre, peste e, negli ultimi tempi, dall’emigrazione.

 

Convento e Chiesa Sacra Famiglia

“Sacra Famiglia” è il titolo della chiesa dei Cappuccini, scelto dallo stesso P. Pio.

Durante la sua permanenza a Pietrelcina, da studente e da sacerdote, era diventata tradizionale la passeggiata serotina e i paesani la ricordano bene e ne indicano anche l’iter.

Zi’ Tore, don Salvatore Pannullo, nato e morto a Pietrelcina (7 gennaio 1849 – 26 gennaio 1928), accompagnato sempre da frà Pio, dai seminaristi quando tornavano in vacanza, e di tanto in tanto anche da qualche sacerdote del paese, passeggiava e discorreva.

Discorrendo si percorreva l’antica via «Gregaria», oggi Viale Cappuccini, si proseguiva per la via che mena al cimitero, si arrivava fino al ponticello in contrada «Cavarena», sostando un quarticello d’ora e poi si riprendeva la via del ritorno.

Verso l’anno 1909, quando il giovane cappuccino era ancora fra’ Pio, in una di queste passeggiate, arrivati alla zona dell’attuale convento, «l’arciprete -è il racconto di un seminarista, testimone oculare – mentre passeggiavamo tutti insieme, ci fece fermare improvvisamente e ci invitò a zittire e a sentire quello che diceva di sentire Forgione (cioè fra’ Pio]. Sentiva un coro di angeli che cantavano e delle campane che suonavano a distesa da un luogo non lontano da noi, e indicava col braccio e con la mano tesa verso il luogo deserto della strada».

I lavori del convento iniziarono con una domanda semplice, seguita da una risposta ancor più semplice. Alcuni Pietrelcinesi chiedono alla signorina americana Maria Pyle, convertita e ritiratasi a S. Giovanni Rotondo (New York 17 aprile 1888 – S. Giovanni Rotondo 26 aprile 1968), di costruire nel loro paese un convento per i padri Cappuccini. La signorina accoglie la proposta e ne parla con P. Pio: «Padre, posso costruire un convento a Pietrelcina?.. Sì, fapresto e che sia dedicato alla Sacra Famiglia», è la risposta di P. Pio.

I lavori, iniziati nel 1926, furono terminati dopo più di venti anni di lotta e contrarietà.

Il progetto fu elaborato dall’ingegnere A. Todini, quello della chiesa dall’architetto G.B. Milani, realizzato dall’ingegnere E. Milani, figlio del progettista defunto, in collaborazione con Oscar Valente, ingegnere di Pietrelcina.

Per l’inizio dei lavori l’entusiasmo dei Pietrelcinesi fu unanime: le pietre della diruta chiesa del Purgatorio furono portate «in trionfo» sul luogo del costruendo convento.

Era meraviglioso vedere come dei blocchi di pietra di cinquanta chili si tenessero in perfetto equilibrio sulla testa delle donne pietrelcinesi; si restava incantati di fronte a quello spettacolo di una folla che, carica e gioiosa, saliva ininterrottamente per la collina, tanto che al calar del sole tutte le pietre della chiesa del Purgatorio erano sul cantiere del costruendo convento: un monticello di parecchi metri.

Gli abitanti dispersi sulle colline circostanti e l’intera popolazione a sera videro una immensa croce meravigliosa, che sembrava toccasse le stelle, alzarsi dal monticello di pietre e restar immobile una mezz’ora circa. Poi, lentamente, s’innalzò verso il cielo e disparve.

Il cardinal Luigi Lavitrano, arcivescovo di Benevento, 13 giugno 1926 benedisse la prima pietra del costruendo convento, su cui era incisa l’immagine dell’arcangelo S. Michele che trafigge l’angelo ribelle.

Dopo circa due anni il convento era terminato, a due piani, il primo inizialmente riservato alla fraternità ed il secondo al seminario serafico. Sorse il convento, ma non ebbe dei frati. Troppi contrasti ed eventi lo ritardarono.

Terminata la guerra, il convento, già occupato dai soldati, fu ripulito e pronto per ricevere i primi frati Cappuccini che vennero a Pietrelcina nell’aprile del 1947 e presero nel pomeriggio del 5 luglio.

Nell’anno scolastico 1948 si inaugurava il seminario serafico.

Parrocchia Santa Maria degli Angeli
Santuario Diocesano di San Pio

L’attuale chiesa parrocchiale anticamente si chiamava «Santissima Nunziata» e di essa, come di quella di rione Castello, non si conosce la data sicura di fondazione.

Fu consacrata dall’arcivescovo cardinal Orsini il 21 ottobre 1701. Sappiamo che fin dall’inizio del 1700 era a tre navate.

Dietro l’altare maggiore vi era un «angustissimo coro, in modo di tribuna con sedili a spalliera di legno con leggìo in mezzo»; nella navata laterale, dalla parte del Vangelo, il coro per i fratelli della Congrega della Madonna della Libera.

Il campanile, alto circa 60 palmi, svettava sopra la porta maggiore; dietro la chiesa vi era il cimitero, benedetto solennemente dal cardinal Orsini il 30 agosto 1697, dirimpetto alla facciata un ospedale.

Quando la vecchia chiesa di rione Castello divenne insufficiente ad accogliere i suoi «filiani», il titolo della parrocchia fu trasferito, con rescritto pontificio del 4 febbraio 1843, alla Santissima Annunziata, che da allora si chiamò S. Maria degli Angeli e, viceversa, la chiesa di rione Castello Santissima Nunziata ed oggi S. Anna.

I lavori di ampliamento della chiesa preesistente furono iniziati dopo la seconda metà dell’Ottocento e la chiesa incominciò a funzionare nell’agosto del 1906, anche se due navate laterali furono completate tra il 1920 ed il 1925. Sulla parete di fondo della stessa navata minore si scorge la statua lignea della Madonna del Rosario, trasportata dal diruto convento dei Padri Domenicani.

Nell’Anno Santo 1950 furono eseguiti lavori di restauro, con l’aiuto dei concittadini americani, “lontani col corpo – ricorda la lapide a chi entra nel tempio – ma sempre vicini col cuore”.

La chiesa subì danni dal terremoto del 1962 e per i danni prodotti dall’altro sisma del 1980, dovette essere chiusa al culto, per essere riaperta sette anni dopo.

La chiesa presenta tre navate, a croce greca, è lunga m. 30 e larga m. 18, protetta da un campanile sul cui terminale a cupola si erge un maestoso gallo, opera del ramaio mastro Abele Mandato di Pietrelcina (16 novembre 1854-28 luglio 1910), terminata nel 1892; il gallo è alto circa 60 cm. ed è posto sul campanile, rivolto ad oriente per annunziare la nascita del sole.

Il 2 luglio del 2004, con decreto 234/2003, l’Arcivescovo di Benevento Serafino Sprovieri ha elevato la chiesa parrocchiale di “S. Maria degli Angeli” a: «Santuario Diocesano per il culto in onore di San Pio da Pietrelcina…, al fine di assicurare un luogo privilegiato dove, alla luce della vita di San Pio si offrano ai fedeli con maggiore abbondanza i mezzi della salvezza, con l’annunzio frequente della Parola di Dio, con l’opportuno incremento della vita liturgica, specialmente attraverso la celebrazione dell’Eucaristia e della Penitenza, come pure con la pratica delle legittime forme della pietà popolare» (cfr. can. 1234).

In questa chiesa fra’ Pio iniziò, da diacono, il suo apostolato, amministrando il primo battesimo (18 gennaio 1910) ed usò tanto sale che il malcapitato neonato, aprendo la boccuccia, strabuzzava gli occhi – “smerzava l’uocchie”, parole di padre Pio quando raccontava il fatto – ed egli tutto impaurito corse dall’arciprete don Salvatore Pannullo, dicendo: “Ho ucciso il bambino!…”. Quel piccolo diventa religioso redentorista prendendo il nome di padre Ermelindo Masone.

In questa chiesa P. Pio celebrava ordinariamente la sua Messa «troppo lunga» per i «pucinari», che dovevano recarsi al lavoro e «mistero incomprensibile» per qualche sacerdote. Egli stesso, scrivendo ai suoi direttori spirituali l’8 settembre 1911: «alle volte all’altare – dice – mi sento talmente un accendimento per tutta la persona, che non posso descriverglielo. Il viso massimamente mi sembra che voglia andare tutto in fuoco» (Epist. vol. I, lett. 44).

Nel coretto dietro l’altare maggiore continuava i suoi interminabili raccoglimenti ed accesi ringraziamenti. L’arciprete lo sapeva, il sagrestano si era accorto che P. Pio era un uomo di preghiera, lo lasciava in chiesa e quando tornava, «tante volte lo trovava svenuto, che sembrava un morto», si recava da don Salvatore Pannullo e questi: «Lascialo stare – diceva, tranquillizzandolo – tu suona mezzogiorno e torna a casa».

Un giorno, però, appena recatosi dietro l’altare maggiore, P. Pio cadde svenuto e l’estasi fu così totale e prolungata, che il sagrestano lo trovò ancora per terra, s’impressionò e si convinse che fosse proprio morto. E di corsa dall’arciprete: «Zi’ arciprè, è muorto ‘u monaco!…». E don Salvatore, senza scomporsi: «Non ti preoccupare. Risusciterà!…».

Rione Castello
Case di Padre Pio

Case secolari, costruite con calce magra e pietra dura e greggia, poggiate sulla viva roccia, dal caratteristico colore scuro che, dal vecchio borgo, affiora da ogni dove, addossate le une alle altre e protette da porte assolate e spesso logorate dalla pioggia, come in genere le mani screpolate dei contadini del rione, con vicoli e vicoletti dai tracciati più impensati, ripide discese, una minuscola piazzetta – il «Larghetto del Principe» – ed un piccolo sagrato davanti alla chiesa di S. Anna.

Porta Madonnella

È la porta di accesso al medievale rione “Castello”, il cuore storico di Pietrelcina. Il nome deriva da un’icona della Madonna, precisamente un’edicola murata, composta da 30 formelle di maiolica, in cui sono raffigurati San Michele Arcangelo, Sant’Antonio di Padova e la Madonna Incoronata apparsa su un albero ad un contadino con due buoi accanto. Padre Pio passava di qui tutti i giorni per recarsi a scuola, in chiesa, o a Piana Romana. Qui egli formò il primo Gruppo di preghiera, qui riuniva sempre tante persone per le devozioni alla Madonna, soprattutto nel mese di maggio, e partecipava alla recita del Rosario in occasione della “novena” che precedeva la ricorrenza dei santi raffigurati alla Porta.

Padre Pio scrive:

“Quante volte ho confidato a questa Madre le penose ansie del mio cuore agitato! e quante volte mi ha consolato! (…) Vorrei avere una voce si forte per invitare i peccatori di tutto il mondo ad amare la Madonna” (Epist. I, 276s).

“Questa cara Mammina seguita a prestarmi premurosamente le sue materne cure…. Le sue cure verso di me toccano la ricercatezza” (Epist. I, 356).

La Morgia

Salutatemi la Morgia”: con questa espressione Padre Pio si accomiatava dai suoi paesani, che andavano a trovarlo dai suoi paesani, che andavano a trovarlo a San Giovanni Rotondo, ricordando la parte del paese forse a lui più cara.

La “Morgia”, ossia la roccia, era l’emblema del suo carattere forte, robusto, deciso, era il luogo dove era cresciuto, a cui si era aggrappato, saldo nella fede, era il ricordo della sua terra, Pietrelcina, di cui ricordava “pietra su pietra”: “Il nostro paese, che tanto ci deve stare a cuore, riceverà dal cielo le più elette benedizioni”.

E anche questa profezia del “frate delle stimmate” si sta realizzando.

Padre Pio scrive:

“Salutatemi tutta Pietrelcina, che tengo tutta chiusa nel mio cuore. Le benedizioni del Signore scendano larghe e copiose su tutti e tutti si rendano degni delle odierne promesse” (Epist. IV, 816).

La Torretta

La celebre «torretta», stanza isolata e quadrangolare (mq. 12,45), con una finestruccia, quasi spioncino ai confini del mondo. Era tra le più fatiscenti costruzioni esistenti, a cui si accede per una scaletta esterna, di pietra nera e consumata, di diciassette gradini a forte pendenza, ricavata nella roccia viva.

In questa stanzetta per un periodo di tempo P. Pio, giovane sacerdote, dormiva e pregava. Qui iniziò la sua corrispondenza col suo padre spirituale, la meravigliosa autobiografia attraverso cui possiamo partecipare alla sua vita spirituale, alle sue sofferenze, alle sue lotte con il demonio. In questo luogo, ci dicono le sue lettere, P. Pio veniva consolato dalla presenza materna della Madonna e confortato dalla presenza di Gesù, dell’Angelo custode e di San Francesco.

Padre Pio scrive:

“Sia benedetta la mano del nostro caro Gesù, che mi percuote e mi renda regno, contro ogni mio merito, di soffrire qualche cosa per suo amore” (Epist. I, 187).

“Soffro è vero, ma intanto non mi dolgo, perché Gesù così vuole” (Epist. I, 193).

Cucina e camera da letto

Sullo stesso vicolo e separata da una costruzione più alta, non appartenente alla famiglia Forgione (acquistata dalla provincia cappuccina di Foggia, nell’aprile del 1975, per mezzo di una figlia spirituale di padre Pio, l’italo-americana Luisa De Martino), un’altra casa (numero civico 28), di due vani comunicanti tra loro per un gradino, il cui pavimento è di pochi centimetri più alto del livello stradale.

Di aspetto umilissimo, una porta carica di anni invita ad entrare in cucina (mq. 10,50) dove un camino, piccolo, semplice e senza cappa, con a lato un panchetto di legno fisso al muro, ricorda le lunghe serate d’inverno con il calore e la fiamma del “ciocco” ed una nonna che racconta ai nipoti Michele, Francesco, Felicita, Pellegrina e Graziella “fatterelli di ogni sorta, storie, storielle l’una più ghiotta dell’altra”, mentre mamma Peppa sfaccenda alacremente.

La stanza riceve luce da una feritoia senza vetri e senza imposta, protetta da una grata a croce, con il pavimento di lastre di pietra irregolari; il soffitto a due spioventi, sorretti da una robusta travatura, è di canne annerite dal tempo e dal fumo. Tutto come ai tempi di padre Pio. Attraverso un uscio aperto nella parete si scende per due gradini di pietra e si entra nell’altra stanza più piccola (mq. 8.70), illuminata da una finestrella di 30 cm. circa che, come l’altra della stanza ove nacque Francesco, presenta all’occhio la sorpresa di un quadro di naturale bellezza; verde, campagne ben coltivate, canti mattutini di uccelli, una serpeggiante strada campestre, percorsa tante volte dalla famiglia Forgione quando si recava a Piana Romana. In questa seconda stanzetta, mutata poi in «sala da pranzo», dormivano da ragazzi alcuni dei figli di Grazio Maria. A tavola, l’angolo a sinistra, appena sceso il gradino, era riservato a Francesco (P. Pio), per evitargli correnti d’aria, che si formavano tra uscio e finestra. I pochi oggetti, semplici e umili, appesi ai muri della cucina e l’angustia dei locali, per nulla sentita da chi ci viveva dentro, fanno capire le condizioni sociali della famiglia Forgione.

Accostata ad una parete, protetta dal cellophane, c’è una pietra usata come guanciale – afferma una tradizione orale – da padre Pio, quando era adolescente.

Che non riposasse sempre nel lettuccio è certo; lo attesta proprio chi rimproverava Francesco, perché “disubbidiva alla madre, che alla sera gli preparava il lettuccio” e lui invece “preferiva dormire a terra, avendo per guanciale una pietra”. La proprietà della casa assieme ai terreni era sufficiente al comune di Pietrelcina per iscrivere all’anagrafe Grazio Maria Forgione tra i «possidenti», ma evidenti ovunque appaiono le umili origini di questa famiglia, onesta e laboriosa, allietata da sette figli, assistiti amorevolmente da due genitori che non risparmiavano sacrifici per crescerli sani e buoni: «Nella mia famiglia – diceva P. Pio – era difficile trovarvi dieci lire, ma non mancava mai nulla».

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In questi locali P. Pio visse i suoi primi quindici anni di infanzia e adolescenza, protetto dall’occhio vigile della mamma. Allegro anche da piccolo, Francesco scherzava volentieri con le sorelle, specie con Felicita, ed a volte così vivacemente da meritarsi l’appellativo di «svergognatello» dalla mamma. Lo stesso P. Pio racconta: «Felicita, sempre sorridente anche con tutti i guai che le sono capitati, passava tutti in casa per la bontà e per la bellezza. Io quando ero a Pietrelcina, tante volte, quando lei si lavava (non c’erano allora lavandini a muro, erano lavandini alla buona) andavo di dietro, le pigliavo la testa e poi gliela tuffavo nell’acqua. Tanti dispettucci le facevo e lei mai una volta mi rispose male, inquieta, ma: “Eh, Franci’, ma tu non la vuoi finire mai con me, no?” e sorrideva».

In questi locali P. Pio studiava, e seriamente, per recuperare gli anni vuoti; in tutto si comportava, sia fuori che dentro casa, da ragazzo educato ed assiduamente devoto. L’occhio di chi lo scrutava non appurava più di tanto, però qualche comportamento singolare era come uno spiraglio che illuminava l’interno meraviglioso di questo ragazzo. I muri della stanza da letto (mutata, poi, in sala da pranzo) videro il decenne Francesco battersi con una catena di ferro, il cui rumore richiamava l’attenzione della mamma che alla vista di tale scena: «Figlio mio – esclamava – ma perché ti batti così? La catena di ferro fa male». Ed il figlio, di rimando: «Mi devo battere come i Giudei hanno battuto Gesù e gli hanno fatto uscire il sangue sulle spalle». Già a cinque anni cominciarono le «estasi e le apparizioni, quando [Francesco] ebbe il pensiero ed il sentimento di consacrarsi per sempre al Signore, e furono continue […]. A cinque anni cominciarono pure le apparizioni diaboliche».

Padre Pio scrive: “Prendete la bella abitudine di pensare sempre all’Angelo custode. Non dimenticare questo invisibile compagno; sempre pronto ad ascoltarvi, sempre pronto a consolarvi. Ringraziatelo, rispettatelo, pregatelo” (Epist. II, 404).

 

Stanza della nascita

Padre Pio venne alla luce il 25 maggio 1887 nell’abitazione sita in Vico Storto Valle, n. 27 (oggi n. 32), ultimo del vicolo.

È la casa paterna di Grazio Maria, con un solo vano (mq. 13,50), a cui si accede per tre gradini esterni.

Un visitatore dei nostri giorni, guardando da fuori questo fabbricato, è colpito dalla semplicità e lo dice “simile ad una casuccia da presepe”, col tetto di tegole chiazzate di licheni e con la porta robusta, segnata di vecchiaia, un anello per maniglia ed in basso, a destra, la “gattarola”, una piccola apertura per il gatto.

Un inviato speciale, arrivato a Pietrelcina nel 1924, otto anni dopo il rientro definitivo di padre Pio in convento, ci fa sapere che a destra di chi entra vi era collocato un tavolino da notte ed un letto a due piazze, sostenuto da correnti e da piedi di ferro. Di faccia la finestra a quattro vetri; di qua un lavamani molto usato ed un antico cassone, di là un tavolo quadro, coperto da un tappeto stinto, su cui si accatastano numerosi libri; e trova anche posto, entro una modesta cornice, una fotografia di padre Pio, inviata alla madre da una signorina sangiovannese.

A sinistra dell’ingresso un altro cassone che, con due seggiole, completa l’ammobiliamento della camera dall’impiantito a mattoni e dal soffitto a graticciata. Nella parte a capo del letto, quattro litografie di Madonne e due Crocifissi.

Da allora ad oggi è mutato soltanto l’ammobiliamento ed è sparito il letto a due piazze, ma i muri sono quelli che sentirono i primi vagiti di un neonato di sesso maschile, rigenerato dalla grazia il 26 maggio 1887, col nome di Francesco.

Nel pavimento, a destra di chi entra, vi è una botola che porta nel seminterrato, ricavato dalla roccia e illuminato da due finestrelle protette da robuste grate, destinato a magazzino per i raccolti dell’annata. Vi si accede anche attraverso una porta esterna.

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Padre Pio scrive: Il Signore “fin dalla nascita mi da dimostrato segni di specialissima predilezione: mi ha dimostrato che egli non solo sarebbe stato il mio salvatore, il sommo benefattore, ma l’amico devoto, sincero e fedele, l’amico del cuore, l’eterno ed infinito amore, la consolazione, la gioia, il conforto, tutto il mio tesoro” (Epist. III, 1006).

 

Casa materna

Si trova in via Sant’Anna, al numero 2, la casa materna di Padre Pio, in cui Grazio Forgione e Giuseppa De Nunzio trascorsero il primo anno di matrimonio ed ebbero il primo figlio, Michele, per poi trasferirsi in Vico Storto Valle.

Sono due vani: una cucina, in cui sono ancora ben conservati arredi, oggetti e utensili casalinghi; ed un magazzino per le derrate alimentari, in cui il grado era conservato nel capiente “cassone” e l’olio nella “pila”, un blocco di pietra incavato al di sotto del livello del pavimento, anch’esso in pietra naturale levigata.

Questa casa ospitò gl’invitati alla festa della prima Messa solenne di P. Pio, preparata dalla mamma la domenica del 14 agosto 1910.

Padre Pio scrive: “La Sacra famiglia non ritiri mai il suo sguardo amoroso da te e dalla tua famiglia; e tu e lei modellatevi su di essa ed avrete pace e bene temporali e spirituali” (Epist. IV, 926).

 

La casa del fratello Michele

È il piano superiore della casa materna di Padre Pio, acquistata da Grazio Forgione, rientrato dall’America, con i risparmi messi da parte da emigrante. È detta “casa di Michele” perché vi abitò per diversi anni il fratello Michele, ed è composta di tre vani, con accesso da una piccola scalinata.

La prima stanza a sinistra, entrando, ebbe ospite la signora Mary Pyle, che soggiornò a Pietrelcina da dicembre 1941 ad ottobre 1943, nel periodo della grande guerra, per sfuggire ai tedeschi.

Padre Pio vi dimorò negli anni dal 1912 al 1916, quando il fratello era emigrato, e nella sua stanza in fondo riposava, studiava, pregava, scriveva e lottava anche fisicamente con i demoni, “quei cosacci” che non cessavano di percuoterlo, più volte confortato, però, da meravigliose visite di “celesti personaggi”.

Quando abitava in questa casa, mamma Peppa ogni mattina veniva ad assicurarsi dello stato di salute del figlio e certe volte lo trovava così prostrato, da non poter neanche parlare.

«Figlio mio – esclamava, accorata – come puoi tirare avanti in questo stato in convento con i monaci?». «Mamma – soggiungeva lui – non ci pensare. C’è la Madonna che mi dà tanta forza; mi ha sempre aiutato e continuerà a farlo. Non ti impressionare per me».

Erano le conseguenze delle lotte col demonio, assidue ed accanite. Tentazioni dello spirito e tormenti del corpo; molteplici gli accenni e non poche le descrizioni, che conosciamo attraverso i resoconti fatti ai direttori spirituali; e se le pagine più belle e più sofferte sono quelle che descrivono la misteriosa notte dello spirito, non meno colorite sono le descrizioni, le lotte contro satana e i suoi satelliti.

Dalle lettere del 1912-1913: notte passata «malissima», perché dalle ore 22 fino alle cinque della mattina quel cosaccio «non fece altro che picchiarmi continuamente»; «quei cosacci mi si scagliarono addosso come tante tigri affamate […]. Ormai son sonati ventidue giorni che Gesù permette a costoro di sfogare la loro ira su di me. Il mio corpo è tutto ammaccato per le tante percosse che ho contato fino al presente per mano dei nostri nemici»; «a già notte avanzata incominciarono il loro assalto con rumore indiavolato […], mi gittarono a terra, e mi bussarono forte forte, buttando per aria guanciali, libri, sedie, emettendo in pari tempo gridi disperati».

Quando il fracasso era troppo, allora era sentito anche dal vicinato, che non riusciva a dormire; a notte alta (l’una, le due) uscivano di casa curiosamente aspettando di vedere qualcosa di straordinario.

I genitori di P. Pio riferiscono che trovavano tutto buttato per l’aria: materasso, sedia, letto e il figliuolo stremato di forze. Alla vista di tale disordine, domandavano con chi avesse litigato, e lui: «Sono stati quei cosacci».

Padre Pio scrive:

“L’altra notte la passai malissimo; quel ‘cosaccio’ da verso le dieci, che mi misi a letto, fino alle cinque della mattina non fece altro che picchiarmi continuamente. (…) Credevo proprio che fosse quella propriamente l’ultima notte di mia esistenza, o, anche non morendo, perdere la ragione. ma sia benedetto Gesù, che niente di ciò si avverò. (…) Infine, venne il pargoletto Gesù, al quale dissi di voler fare solo la sua volontà. MI consolò e mi rinfrancò le sofferenze della notte. Oh Dio, come batteva il mio cuoricino, come ardevano le mie guance presso questo celeste Bambino! Questa notte scorsa poi l’ho passata tutta intiera con Gesù appassionato” (Epist. I, 292).

Chiesa di Sant'Anna

Il disastroso terremoto del 5 giugno 1688 assieme al palazzo baronale distrusse anche la chiesa arcipretale del castello “sotto il titolo di Sant’Angelo e Santa Maria”.

Appena cinque anni dopo, i Pietrelcinesi avevano ricostruito la chiesa sopra la “ripidissima rupe” e il campanile “a quattro acque” e già dal 1712 viene denominata “Santa Maria degli Angeli”.

Oggi il campanile «a quattro acque» non c’è, sostituito da una modesta ventola, in cima alla semplicissima facciata della chiesa, che sostiene le due campane, le uniche cose salvate dal terremoto del 1688.

La chiesa è quella del 1700, salvo mutamenti accidentali e i segni del tempo edace: formata da due navate, maggiore e minore; divisa da due pilastri col pavimento di mattoni ed una sepoltura per gli arcipreti, con soffitto di legno dipinto e «fatto a quadretti».

Nel muro laterale, a sinistra di chi entra, un pulpito di legno, a cui manca il braccio che sosteneva una croce col Crocifisso; il fonte battesimale in pietra, risalente al ‘700, dove Padre Pio fu battezzato il 26 maggio 1887 con il nome di Francesco.

In fondo alla parete, vicino all’uscio della sagrestia, è addossato un vecchio organo. La chiesa ha cambiato anche titolo: oggi è chiesa S. Anna. Questa povera vecchia chiesa si sente orgogliosa, perché piena di Francesco Forgione bambino e adolescente, di fra’ Pio studente cappuccino e di P. Pio sacerdote. È tanto vicina alla casa Forgione, che forse sentì i primi vagiti di Francesco quando venne alla luce; in essa egli divenne cristiano e soldato di Cristo (fu cresimato il 27 settembre 1899); imparò i primi elementi della dottrina cristiana e ricevette la prima comunione; si estasiava davanti a Gesù sacramentato da adolescente quando, ascoltata la santa Messa, d’accordo col sagrestano, si faceva chiudere in chiesa, fissandogli l’orario per andare ad aprirgli; in essa celebrò le sue «lunghe Messe» nei giorni feriali, quando la salute malandata lo infiacchiva di più, e si stemperò in lacrime amorose e dolorose per sé e i suoi fratelli (cfr. Espist. vol. I, lett. 44).

Il direttore spirituale di P. Pio, Benedetto da S. Marco in Lamis, ci fa sapere che già a cinque anni gli apparve all’altare maggiore il Sacro Cuore di Gesù, fece segno di accostarsi all’altare e mise la mano in testa al piccolo Francesco, manifestando di gradire e confermare l’offerta di se stesso e la consacrazione al suo amore. Davanti alla chiesa vi è il piccolo sagrato, pochi metri quadrati selciati di pietra, teatro abituale dei giochi dei ragazzi del rione: protetto da un parapetto, chiuso fra chiesa e case, è una finestra spalancata su un orizzonte incantevole e sconfinato.

Dalla facciata della chiesa, a sinistra di chi entra dalla porta maggiore, affiora una irregolare curva di roccia: qui Francesco sedeva e guardava i compagni che giocavano, o leggeva, pregava, quando trovava la chiesa chiusa; da studente e da sacerdote, quando restava in paese, nelle ore pomeridiane di calura opprimente, andava a respirare un po’ di frescura ed a pregare.

Sul parapetto del sagrato era solito fermarsi, seduto assieme all’arciprete don Salvatore Pannullo, circondato dai fedeli che avevano assistito alle funzioni.

Divenuta pericolante per i danni del tempo, e dopo il terremoto del 1980 fu completamente restaurata per iniziativa di padre Mario Manganelli, su progetto dell’architetto Mizzau, con le offerte dei fedeli e del sacerdote americano padre Norman, attraverso la fondazione “Amici di Padre Pio”.

Fu solennemente riaperta al culto il 24 maggio 1981.

Sotto l’altare di S. Anna si trova l’urna contenente le Reliquie di S. Pio martire: molto venerato ai tempi di P. Pio. Sicuramente influì nella scelta del nome religioso, da Francesco a Fra Pio.

 

Piana Romana

■ Le due strade

Alla borgatella di Piana Romana si arriva per due strade. Quella asfaltata con gli aiuti della Cassa per il Mezzogiorno ed inaugurata il 25 maggio 1974 s’imbocca dopo il cimitero, a destra di chi sale, lungo la quale s’incontra «Taverna Rocca», ov’è la cappella dedicata a S. Gennaro, e più in là, accanto ad una casa colonica, una edicoletta di S. Michele, davanti alla cui statuetta, una volta nella chiesa matrice di Pietrelcina, P. Pio sostava in preghiera.

La famiglia Forgione non andava a Piana Romana per questa moderna strada, né per l’antico semplice tracciato di via campestre, ma ne percorreva un’altra, più breve e più scomoda, mattina e sera, a piedi o cavalcando un asino, dimorando in campagna soltanto nei mesi estivi al tempo della raccolta.

Si scende per l’antica “Porta Madonnella”, si attraversa un selciato spazioso e scoperto con al centro un pozzo dal parapetto internamente scanalato, per il continuo sali e scendi delle funi, con tanti ganci che ricordano l’uso del pozzo in funzione di frigorifero naturale, il cui pelo dell’acqua rinfrescava la pancia di un fiasco o di una giara, calati e ritirati anche da Francesco (padre Pio) per porgere al padre che tornava dalla campagna un sorso di acqua fresca, come raccontano i vecchi del vicinato; si passa sopra un ponticello, che ricorda due fatti di Francesco: qui si davano appuntamento i “brutti ceffi”, cioè i diavoli, per apostrofarlo: “Adesso passa il santo!…” e poi sghignazzare”; qui Francesco – poteva avere dieci anni – si ubriacò di fumo, aspirando una boccata di sigaro toscano per provare che sapore avesse.

Poi la strada incomincia a salire, fiancheggiata da siepi, alberi, campi ben coltivati, cascine, vigne, pezzi di orti, alberi fruttiferi.

Il viandante cammina, guarda e… desidera.

Un giorno – episodio tramandato dai genitori – Giuseppa (la mamma) e Francesco, passando vicino ad un bel campo di rape: «Che belle rape! – dice la madre – come le mangerei volentieri!». «È peccato», commenta Francesco, asciutto asciutto.

Un altro giorno vedono un bell’albero di fichi e Francesco, senza pensarci due volte, va sotto la pianta e si mette a mangiarli. «Ma come – protesta la mamma – mangiare le rape è peccato e i fichi no?».

  1. Pio, da pastorello, da studente e da sacerdote, attraversò tante volte questa strada, anche nella calura estiva, quando gl’impegni di studio e di sacerdozio non gli permettevano di restare in campagna con i suoi.

Lungo il sentiero ci sono pozzi di fianco alle case coloniche e P. Pio, per riprendere fiato, si fermava volentieri per un bicchier d’acqua fresca e per scambiare qualche parola con i contadini.

Padre Pio scrive:

Tutti i contadini erano sparsi per le campagne ed anche i pastori uscivano con i loro greggi. gli usignoli pianamente entro le macchie cinguettavano. Qua si sentivano belar pecore, là si vedevano saltellare agnelletti. Tutto il creato era lietissimo

(P. Pio, Componimenti scolastici, p. 109s).

 

“….mi trovo in campagna a respirare un po’ di aria più sana, dietro che ne ho sperimentato la miglioria” (Epist. I, 223).

 

La «masseria»

Dopo una buona mezz’ora di cammino si arriva sopra una collina ricca di messi e di vecchi olmi e tra un gruppo di case vi è la «masseria» dei Forgione: un pianterreno di mq. 31,25 pavimentato a ciottoli, mura di pietra grezza senza intonaco, grosse travature che sostengono il tetto, una finestrella che dà luce all’interno, un camino grande che ricorda «mamma Peppa» affaccendata a preparare il pranzo ai lavoratori.

I Forgione avevano la maggior parte dei campi a Piana Romana e da questa terra feconda ricavavano il fabbisogno per vivere.

Oggi è come ai tempi del pastorello Francesco, depauperata soltanto di olmi e di vigneti, con in più una cappellina, un piazzale ampio ed asfaltato, con qualche nuovo fabbricato e la luce elettrica.

A Piana Romana Francesco pascolava il suo piccolo gregge; è sull’aia di questa contrada che vide il cappuccino fra’ Camillo cercatore e la sua barba; è qui che fra’ Pio, prima, e P. Pio, dopo, veniva a passar la maggior parte del tempo, per motivi di salute, dietro suggerimento dei medici che consigliavano vita all’aria aperta.

Padre Pio scrive:

“L’autunno è tutto ridente: col suo modesto ammanto è assai più caro che quello della sterile primavera. Esso rallegra tutti, allenisce i sospiri ed il sudore del povero campagnolo, perché vede effettuarsi il frutto delle sue fatiche. Nessuno nell’autunno sa più tenersi in pace; tutti, ricchi e poveri, signori e contadini, allegramente si portano di buon’ora nelle vigne per cogliere chi i rossi grappoli e chi le mature frutte” (P. Pio, Componimenti Scolastici, p. 177).

 

La cappella

A Piana Romana si sono succeduti, assieme a cose umane ordinarie, favori divini che il Signore elargiva a piene mani, anche se a caro prezzo, al suo servo fedele, in quel periodo di oscure sofferenze fisiche, per prepararlo alla grande missione che lo attendeva.

Passava il suo tempo più che poteva sotto una capannuccia di paglia, sistemata attorno al tronco di un fronzuto olmo, e lì leggeva, studiava e pregava.

Un giorno, era il mese di settembre 1910, P. Pio tardava a recarsi alla masseria.

La madre aveva già apparecchiato la tavola e lui, contrariamente al solito, non compariva. Alla fine venne, scuotendo le mani come se gli bruciassero. «Ecché – disse la madre – suoni la chitarra?…».

  1. Pio sedette a tavola e non rispose nulla. Era l’inizio di un certo fenomeno che si doveva ripetere per un intero anno, come confessa lui stesso in una lettera dell’8 settembre 1911 al padre spirituale Benedetto da S. Marco in Lamis. Dopo aver accennato di trovarsi in campagna a respirare un po’ di aria sana, perché sente che gli fa bene, «ieri sera mi è successo – continua – una cosa che io non so né spiegare e né comprendere. In mezzo alla palma delle mani è apparso un po’ di rosso quasi quanto la forma di un centesimo, accompagnato anche da un forte ed acuto dolore in mezzo a quel po’ di rosso. Questo dolore era più sensibile in mezzo alla mano sinistra, tanto che dura ancora. Questo fenomeno è quasi da un anno che si va ripetendo, però adesso era da un pezzo che più non si ripeteva» (Epist. vol. I, lett. 44).

Il tempo passa, ma la presenza di P. Pio non si cancella e Piana Romana è tutta piena di lui. Nessuno dei paesani sapeva che quel frate magro e serio che giornalmente nei mesi estivi percorreva quella strada tanto scomoda per i suoi piedi doloranti e che si riparava dal sole con un ombrello di tela color cenere, era segnato da segni della Passione.

Molti anni dopo, quando si seppe ciò ch’era avvenuto sotto quell’olmo, l’albero fu rivestito da una protezione, a perenne memoria del fatto.

Nel 1958, anima Mercurio Scocca, compagno indivisibile e poi compare di padre Pio (7 marzo 1887) (7 agosto 1968), abitante di Piana Romana, si iniziarono i lavori per la costruzione di una cappellina dedicata a san Francesco d’Assisi, nel posto preciso dov’era la capannuccia, sotto la direzione dell’ingegner Alcide Sculati. La parte anteriore è lunga m. 8 e larga m. 4,50 con un altare per la celebrazione della santa Messa e la statua di san Francesco; la parte posteriore è semicircolare e protegge il tronco, ormai secco e plastificato, dell’olmo sotto il quale padre Pio ricevette i primi sintomi di stimmate.

Vi si accede per un viale lungo circa 65 metri, costeggiato da pini e chiuso da un cancello di ferro battuto del 1961.

La campanella posta sulla ventola della facciata fece echeggiare per la collina la sua voce la prima volta il 23 aprile 1961, per chiamare a Messa i fedeli delle vicine masserie. E dopo quella prima, se ne celebrarono tante altre.

Ogni domenica qui viene celebrata la santa Messa, con la partecipazione di molti fedeli, che vengono anche da lontano. Frequenti sono le prime comunioni e non rare le celebrazioni dei matrimoni.

Lolmo

Quando faceva troppo caldo, Padre Pio si riparava all’ombra di una capannuccia di paglia poggiata sul robusto tronco di un olmo. Sotto quest’olmo Padre Pio cominciò a soffrire i dolori dei segni divini che apparivano in mezzo alle palme delle mani e sotto i piedi; quest’olmo è stato il muto testimone della sua prima stimmatizzazione, descritta da Padre Pio l’8 settembre 1911 nella lettera al suo padre spirituale Benedetto da San Marco in Lamis, quando già era avvenuta da quasi un anno.

Oggi quell’olmo, ormai secco e plastificato, è custodito nelle piccole mura della chiesetta costruita là dove era la capannuccia di paglia.

Padre Pio scrive:

“….mi trovo in campagna (…). Ieri sera mi è successo una cosa che io non so nè spiegare e nè comprendere. In mezzo alla palma delle mani è apparso un po’ di rosso quasi quanto la forma di un centesimo, accompagnato anche da un forte ed acuto dolore in mezzo a quel po’ di rosso. (…) Anche sotto i piedi avverto un po’ di dolore. Questo fenomeno è quasi da un anno che si va ripetendo” (Epist. I, 234).

 

Il pozzo e le pietre

Un altro ricordo di Piana Romana, a cui padre Pio teneva tanto, sono due grosse pietre, servite a lui da panca, molto vicine all’olmo ed oggi recintate da rete metallica. Diceva: “Erano il mio seggiolone; di là vedevo spuntare e calare il sole”.

A fianco alla vigna che non c’è più, c’era e c’è ancora un pozzo, oggi lungo il vialetto che conduce alla cappellina. Anch’esso ha la sua storia, raccontata dalla mamma di padre Pio alle sue conoscenti e vicine di casa. Grazio Maria stava scavando un pozzo, l’acqua non compariva e i nervi incominciavano a salire a fior di pelle per la inutile fatica.

Il piccolo Francesco pregò il padre di non adirarsi, perché la vena dell’acqua non scorreva lì, ma in un altro luogo che egli stesso indicò.

Zi’ Grazio rispose a Francesco che avrebbe fatto scavare nel luogo indicato; e guai a lui, perché, se l’acqua non fosse stata trovata, l’avrebbe calato nella fossa! Dopo due o tre metri l’acqua cominciò a zampillare ed il piccolo Francesco suggerì di continuare a scavare, perché sarebbe comparsa in abbondanza, come difatti avvenne.